“Non è mai esistito un gioco più adatto del baseball per misurare l’autentico valore di un uomo. È come in una famiglia, in un gruppo di fratelli che lavorano insieme per raggiungere la stessa meta”, scriveva il leggendario Babe Ruth. Vivere la squadra come una famiglia, mettendo la prestazione individuale a servizio del gruppo, supportando il compagno nelle difficoltà, fa parte della filosofia del baseball, di quella che è la sua forte componente etica, per dirlo con le parole di Roberto Cabalisti. Lanciatore, tra i più forti ad aver calcato i diamanti europei, il suo palmares recita 5 Scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Coppa dei Campioni, 2 Campionati Europei e la partecipazione alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e Sydney 2000.
I valori del baseball, l’attitudine al rispetto delle regole, la valutazione e reazione a fattori imprevisti, accompagnano Roberto nella sua attività professionale e nella vita quotidiana e seguiranno anche i suoi progetti futuri, in via di definizione anche grazie a Digital & Entrepreneurship in Sports.
Quali sono i valori del baseball che hai portato con te nella tua successiva esperienza lavorativa?
Il baseball è uno sport particolare, che esce un po’ dai canoni degli altri sport perché la palla è un oggetto di gioco che non entra nel fattore punto. Nel baseball è l’uomo che deve predisporsi per segnare il punto ed è un po’ come nel mondo del lavoro, dove l’uomo deve predisporsi per raggiungere il risultato. Inoltre, non essendoci un cronometro che scandisce la fine della partita, il tempo di gioco, di lavoro, può essere molto elevato e condizionato da fattori come l’errore del singolo, oppure la copertura di quell’errore da parte della squadra. Ci sono degli aspetti che ho portato anche nel mio ambito lavorativo: non essendo il baseball uno sport professionistico in Italia, ho sempre dovuto portare avanti parallelamente il mio lavoro di istruttore di scuola guida. Nel baseball ci sono moltissime regole e sulla strada è molto simile, se non segui le regole o non valuti fino in fondo possibili imprevisti, rischi di mettere a rischio la corretta conduzione del mezzo. La mia esperienza nello sport, questa attitudine a seguire un contesto molto regolamentato e a prevenire l’imponderabile, mi ha portato a dare quel qualcosa in più ai ragazzi che seguo su lavoro, che spesso loro stessi riconoscono.
“Nel baseball è l’uomo che
deve predisporsi per segnare il punto
ed è un po’ come nel mondo del lavoro,
dove l’uomo deve predisporsi
per raggiungere il risultato”
Ci puoi raccontare qualche aspetto della “filosofia del baseball” che pensi abbia grande valore nella vita quotidiana?
Il baseball forma un’etica importante, quella di essere gruppo nonostante la tua prestazione individuale, perché se il singolo non lavora in collaborazione con gli altri 9 compagni, è impossibile arrivare al risultato finale, non si vince mai da soli. C’è una forte componente etica: quella comportamentale, quella del seguire le regole, che rientra anche nel mio lavoro. Negli Stati Uniti o in Giappone, dove è molto praticato, incide molto sulla cultura popolare. Inoltre, come ho già anticipato, tutto il gruppo deve lavorare seguendo precise regole, dal turno di battuta alla corsa sulle basi. Anche gli atleti più istrionici ed eccentrici della storia del gioco, posso citare Babe Ruth, nel campo da gioco avevano un comportamento sfolgorante, che trascinava la squadra. La squadra è come una famiglia, la sinergia che si crea nello spogliatoio, il rispetto reciproco, l’incitamento, sono componenti che trascinano la prestazione individuale e che porti anche nella vita quotidiana e sul mondo del lavoro.
“La squadra è come una famiglia,
la sinergia che si crea nello spogliatoio,
il rispetto reciproco, l’incitamento,
sono componenti che porti
anche nella vita quotidiana
e sul mondo del lavoro”
Quali sono gli insegnamenti che porti con te dalla tua esperienza sportiva?
Saper controllare le emozioni nei momenti più difficili. Ho avuto la possibilità di giocare le Olimpiadi, con 40.000 persone che guardavano le tue azioni, con i riflettori puntati addosso. Da un lato ti senti la stella del momento, dall’altro ti tremano le gambe. Anche in queste occasioni viene fuori la forza della squadra, del sostegno del gruppo. Ho poi imparato il valore della semplicità, dell’essere pronto nell’immediatezza delle situazioni di grande pressione, del prendere una decisione mantenendo il sangue freddo, senza pensare ai “ma” o ai “se”.
Hai partecipato alle Olimpiadi, l’appuntamento più importante nella carriera di uno sportivo professionista.
Ci puoi raccontare qualcosa a riguardo?
Pensi che le Olimpiadi di quest’anno saranno in qualche modo diverse?
Speriamo intanto che questa Olimpiade si possa fare con tutti i crismi. È la manifestazione più importante a livello sportivo, si è svolta anche nei momenti più difficili della storia dell’umanità. Per ogni atleta poi, c’è dietro una preparazione di quattro anni: ogni anno, fino all’Olimpiade, pensi a quel momento. Io ne ho perse due per infortuni nei venti giorni precedenti all’inizio e vivi veramente un dramma sportivo. Raggiungere un risultato olimpico significa entrare nell’universo mondiale dello sport. È una delle più grandi aspirazioni per un’atleta e il supporto del pubblico è una cosa che ti ripaga di tutto. Sicuramente questa edizione, senza il calore della gente, sarà molto diversa, e questo fattore potrebbe incidere anche sui risultati. Gli atleti dovranno trovare veramente dentro loro stessi quella forza interiore per centrare l’obiettivo.
“Raggiungere un risultato olimpico
significa entrare nell’universo mondiale dello sport.
È una delle più grandi aspirazioni per un’atleta
e il supporto del pubblico è una cosa che ti ripaga di tutto”
Il baseball è uno degli sport dove la tecnologia ha avuto un grande impatto negli ultimi anni, specie ovviamente nella MLB.
Dallo scouting, ai radar, alle tecnologie 3D a telecamere di precisione.
Come è cambiato il gioco?
Il baseball si è sempre dotato di tecnologie all’avanguardia nei massimi livelli del professionismo, prima di tanti altri sport. La caratteristica specifica del baseball è poi quella di essere il riflesso della statistica. Ogni giocatore è valutato sul singolo lancio, sulla singola corsa, sulla singola battuta sul terreno di gioco. È forse l’unico sport per cui, prendendo in mano lo scorer segnato da un esperto a fine partita, si è in grado di ricostruire la partita esattamente nei dettagli. Pensiamo al film Moneyball, che è tratto da una storia vera. La statistica è stata di fatto applicata al campo, producendo un contenimento dei costi con una forte propensione al risultato. La tecnologia inoltre, fin da subito, è stata applicata a supporto delle decisioni dell’arbitro. Alle Olimpiadi di Sydney per la prima volta sono entrato in contatto con le telecamere poste sulle basi e l’impatto di cambiamento è stato molto forte. Ancora oggi però una delle chiamate più importanti del gioco, il ball o lo strike, è in mano al giudice di gara.
Sei stato uno dei giocatori italiani ed europei più forti, con una lunga carriera di successo.
Cosa succede per uno sportivo professionista quando si interrompe una carriera come la tua?
È stata una scelta, quella di smettere, che sicuramente mi ha toccato. Per il troppo amore per questo sport e per la grande voglia di restare nell’ambiente, anche senza giocare e trasferendo la mia esperienza ai giovani, mi sono messo un po’ da parte. Finché scendi in campo riesci anche a conciliare otto ore di lavoro con quattro ore di allenamento, quando ti manca quello stimolo, diventa molto più difficile. Gli ultimi miei quattro anni di carriera sono stati veramente di pura passione a scapito di una scelta economica. Quando ho smesso mi sono reso conto di aver forse trascurato l’ambito lavorativo accusando, allo stesso tempo, la forte mancanza del baseball. È stato impegnativo svestire i panni da giocatore e indossare quelli per mettersi dietro una scrivania. Questa sensazione ti passa dopo un paio di anni e per molti giocatori e sportivi è un momento veramente delicato, a volte mancano le forze per fare qualcosa di nuovo.
“È stato impegnativo svestire i panni da giocatore
e indossare quelli per mettersi dietro una scrivania.
Questa sensazione ti passa dopo un paio di anni
e per molti giocatori e sportivi
è un momento veramente delicato,
a volte mancano le forze per fare qualcosa di nuovo”
Perché hai scelto di partecipare a Digital & Entrepreneurship in Sports?
Da quando ho smesso mi sono dedicato, tra le altre cose, a veicolare sui social quella che è stata la mia esperienza sportiva, dandogli un taglio tecnico e motivazionale, ma senza elaborare una strategia che potesse avere anche aspetti commerciali. Quando ho visto il programma mi ha incuriosito la possibilità di esplorare in maniera più professionale questo nuovo mondo. Ritrovandomi con altri ex-sportivi, che vengono da tante esperienze diverse ma che sentono l’esigenza di acquisire nuovi strumenti, ho trovato nel percorso momenti di lavoro in gruppo veramente stimolanti.
Quale progetto hai in cantiere o vorresti lanciare oppure come pensi di sfruttare le competenze che stai acquisendo?
Non ho ancora un’idea precisa, ma sicuramente da un lato mi interessa molto lo sviluppo dei nuovi canali di comunicazione social, per il personal branding. Dall’altro, molte idee che volevo portare avanti sono rimaste nel cassetto, perché non avevo una squadra con cui elaborarle. Adesso sicuramente mi sento nel contesto giusto per svilupparle. Ad esempio, ho immaginato un progetto sulla sicurezza stradale per individuare le sinergie e le similitudini tra le traiettorie che si affrontano in una partita di baseball con la circolazione automobilistica, tornando a quella che è la mia professione attuale. Penso inoltre che acquisire nuove competenze digitali possa darmi la possibilità di sviluppare altre attività o business alternativi.
“Molte idee che volevo portare avanti
sono rimaste nel cassetto,
perché non avevo una squadra
con cui elaborarle.
Adesso sicuramente mi sento
nel contesto giusto per svilupparle”