Nei Giochi Olimpici dell’antichità il pentathlon, competizione che prevedeva le seguenti discipline, stadion (corsa di breve distanza), lancio del giavellotto, lancio del disco, salto in lungo e il pancrazio (lotta), serviva a saggiare il valore di un atleta come soldato ideale dell’epoca. Scriveva efficacemente Aristotele nella Retorica: “Chi sa slanciarsi rapidamente in avanti con i piedi e resistere è un buon corridore. Chi ha la forza di schiacciare un avversario e di resistere alla sua pressione è un lottatore. Chi sa tener lontani con i propri colpi gli avversari è un pugilatore. Chi sa fare l’una cosa e l’altra è campione nel Pancrazio. Ma chi è il campione di tutte queste prove è un pentatleta”.
Quando il sogno olimpico di De Coubertin divenne realtà, fu proprio l’ideatore dei Giochi moderni a voler fortemente riproporre una competizione che mettesse assieme le discipline in cui il soldato ideale di inizio Novecento dovesse eccellere: saper andare a cavallo, combattere con la pistola e con la spada, nuotare, correre. Dal 1912 (anno dell’esordio olimpico) ad oggi, il pentathlon moderno, è diventato sempre più manifesto di una prestazione sportiva onnicomprensiva, dallo sforzo fisico, all’approccio mentale, come racconta Stefano Pecci, bronzo mondiale a squadre nel 2004 e il più giovane atleta italiano ad aver partecipato a un’Olimpiade, quella di Sydney 2000, in questa disciplina e oggi pronto a nuove sfide, anche con Digital & Entrepreneurship in Sports.
Quali sono i valori che uno sport come il pentathlon moderno ti ha dato e quali insegnamento ti ha trasmesso nella tua successiva esperienza lavorativa e nella vita quotidiana?
Tutte le esperienze che raggiungono determinati traguardi si basano sulla costruzione della prestazione e allo stesso tempo sulla costruzione della persona. Per arrivare all’apice passi attraverso un percorso valoriale che parte da quando inizi, dalla parte più ludica, per arrivare poi all’agonismo, fino a quando lo sport si trasforma nella tua professione. Il mindset che sviluppi, man mano che procedi nella carriera, è un approccio in continua evoluzione e anche dal punto di vista valoriale: lo spirito di squadra, l’impegno, il sacrificio, il rispetto delle regole fanno parte di te stesso e sono valori che riporti nella tua vita quotidiana.
“Tutte le esperienze che raggiungono determinati traguardi
si basano sulla costruzione della prestazione e,
allo stesso tempo, sulla costruzione della persona”
Il pentathlon moderno unisce discipline molto diverse tra loro, anche a livello di preparazione,
in cui condensare una performance individuale:
quanto ha inciso la tua esperienza sportiva nella capacità di acquisire skills diverse?
Nella domanda c’è già parte della risposta – scherza –. La capacità di un pentatleta di mutare è quello che fa la differenza. Cambiare dal nuoto, al tiro, piuttosto che alla scherma, all’equitazione, alla corsa, discipline così differenti dal punto di vista motorio e dell’approccio mentale, è come chiudere un cassetto e aprirne un altro più volte al giorno. La tua mente deve fare costantemente questi passaggi è ciò ti forma anche al di fuori dello sport: l’adattarsi a contesti così diversi è una qualità importante che ho sfruttato anche successivamente.
“L’adattarsi a contesti così diversi
è una qualità importante
che ho sfruttato anche successivamente”
Come ti sei avvicinato al pentathlon moderno e quale era la tua routine di allenamento quotidiana?
Devo ringraziare la mia famiglia, i miei genitori che a quattro anni mi hanno portato in piscina e mia sorella che ha iniziato a fare pentathlon moderno, io ho seguito le sue orme da quando avevo otto anni. Siccome non mi bastava, giocavo anche a calcio per cui fino a tredici anni di fatto mi allenavo ogni settimana in sei sport diversi. Quattro volte a settimana nel pentathlon, due volte a settimana l’allenamento di calcio e la partita la domenica. Dai primi risultati ottenuti nel pentathlon mi sono poi concentrato esclusivamente su questa disciplina. Facevo blocchi di 24 sedute settimanali di allenamento, 3 o 4 discipline al giorno di media. Carichi di lavoro sicuramente importanti, che mi impegnavano dalla mattina alle nove fino alla sera, dopo le sei, ma che non mi hanno impedito di portare avanti altre attività o coltivare gli studi: mi sono laureato in economia durante il mio percorso agonistico. Devo dire che la metodicità di approccio alle giornate sportive mi ha consentito di sfruttare al massimo il tempo che avevo a disposizione.
Il pentathlon moderno ha una storia e una tradizione olimpica lunghissima ed è stato oggetto di diverse innovazioni.
Cosa è cambiato e cosa sta cambiando?
Il pentathlon moderno è lo sport fortemente voluto da De Coubertin nel programma olimpico, perché considerava questi atleti tra i più completi in assoluto. La prima grande innovazione è stata il passaggio nella gara di tiro dalla pistola ad aria compressa a quella laser (nel 2011, ndr). Durante l’olimpiade di Londra 2012, quella del centenario olimpico del pentathlon moderno, è avvenuta invece un’innovazione epocale per l’introduzione del laser run, l’accoppiamento di due discipline, il tiro (originariamente la prima gara) e la corsa, l’ultima competizione. La novità è stata sicuramente molto impattante a livello di performance e preparazione: è facilmente intuibile quanto cambi sparare in maniera alternata alla corsa, in un contesto di sforzo fisico diverso. La prova di laser run è oggi cruciale, perché sposta il momento decisivo della competizione all’ultima parte di gara, rendendola più avvincente ed emozionante: fino agli ultimi metri il risultato sportivo può cambiare. In precedenza, la gara di corsa non spostava tantissimo la classifica che si era formata con le altre prove. Altra grande innovazione a livello olimpico è stata quella del “pentathlon stadium”, riunire in una sola location tutte e cinque le discipline. Dal punto di vista della logistica, ci sono sempre state grandi difficoltà durante le Olimpiadi, in quanto gli atleti dovevano spostarsi dalla piscina, al campo di equitazione, al campo di tiro in luoghi anche molto lontani tra loro e occupati da altre discipline. La previsione di un unico stadio ha permesso al pubblico di poter seguire la competizione in un’unica venue e anche ai broadcaster televisivi di dare maggiore copertura.
A proposito di Olimpiadi,
sei stato il più giovane azzurro del pentathlon
a partecipare a un’edizione dell’appuntamento più importante nella carriera di uno sportivo.
Ci puoi raccontare qualcosa a riguardo?
La partecipazione alle Olimpiadi è stato sicuramente il più grande traguardo della mia carriera, più della medaglia di bronzo ai mondiali del 2004. La dimensione olimpica è un qualcosa che dà i brividi. La realtà del pentathlon moderno è di dimensioni ridotte rispetto ad altri sport, non siamo abituati a palcoscenici molto gremiti. L’immagine di quando entrai sul campo gara di gara per la prova di equitazione con il cavallo appena sorteggiato, davanti a 15.000 spettatori, è fissa nella mia mente, così come l’emozione.
“L’immagine di quando entrai sul campo gara di gara
davanti a 15.000 spettatori, è fissa nella mia mente,
così come l’emozione”
Pensi che le Olimpiadi di quest’anno, condizionate dalla pandemia, saranno in qualche modo diverse?
Intanto spero veramente che le Olimpiadi si facciano. La pandemia ha cambiato il mondo ed inevitabilmente cambierà anche la competizione olimpica. Magari fra tre anni torneremo al vecchio spirito, ma quest’anno sarà sicuramente diverso. Credo che gli atleti parteciperanno con la stessa enfasi ma, a livello di interazione con il pubblico, di carica emotiva, sarà un’altra cosa e non mi stupirei se questo fattore incidesse poi anche sulle performance.
Come è stato il passaggio dal professionismo al post carriera?
Io ho avuto la fortuna di far parte di un Gruppo Sportivo Militare, quello dei Carabinieri, senza il quale mi sento di dire non avrei mai raggiunto alcun traguardo. Come me, tanti altri ragazzi e ragazze che fanno discipline che non consentono di vivere solo di sport, ma che magari danno grande prestigio a livello internazionale all’Italia, non riuscirebbero a dedicarsi al professionismo senza questo tipo di supporto. La fortuna è stata anche quella di poter restare anche alla fine della carriera all’interno di un settore sportivo dell’Arma dei Carabinieri. Questo ha sicuramente semplificato la mia transizione dall’agonismo, poiché sono rimasto in ambito sportivo. Mi sono poi specializzato attraverso il mio percorso accademico nel management sportivo; sono stato consigliere federale per 7 anni e sono attualmente Presidente di una associazione sportiva dilettantistica. Proprio in questo ambito cerco continuamente di perfezionare le mie conoscenze mantenendo standard formativi molto alti.
Perché hai scelto di partecipare a Digital & Entrepreneurship in Sports?
Sono una persona molto curiosa e conoscevo già LVenture e le sue attività. Quando poi ho visto che assieme a SKS365 aveva lanciato questa opportunità di formazione, in un ambito poi che per me è di grande interesse ma che non avevo mai affrontato e dove non ho competenze specifiche, ho pensato che fosse un treno da non perdere.
“Quando ho visto questa opportunità
in un ambito di grande interesse,
dove non ho competenze specifiche
ho pensato fosse un treno
da non perdere”
Quale progetto hai in cantiere o vorresti lanciare oppure come pensi di sfruttare le competenze del Programma?
Alcuni progetti li avevo già messi in campo prima del corso (come la K42 Italia, gara internazionale di trail running e molti progetti sociali volti alla promozione dello sport) ed altri li ho nel cassetto. Concretamente mi piacerebbe utilizzare nuove competenze per la creazione di un centro sportivo dove ci sia una possibilità aperta a tutti di svolgere attività motoria di base, specie riguardo ai giovani. Credo che le nuove generazioni, per cause diverse, facciano meno attività sportiva e siano limitati nell’accesso allo sport. La pandemia, inoltre, ha aggravato un contesto già difficile, rendendo i ragazzi ancora più sedentari. Mi piacerebbe veramente creare un qualcosa di efficace, a partire dalla comunità in cui vivo.
“Concretamente mi piacerebbe utilizzare nuove competenze
per la creazione di un centro sportivo
dove ci sia una possibilità aperta a tutti
di svolgere attività motoria di base,
specie riguardo ai giovani”
Pensi che le nuove tecnologie possano essere di supporto in questa sfida?
Assolutamente si. La tecnologia, il suo corretto utilizzo, può avere un grande impatto dal punto di vista dell’inclusione sportiva. È un’opportunità che bisogna saper usare e anche per questo motivo ho scelto di partecipare al programma.
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