In diversi momenti della storia lo sport ha segnato la vita e le tradizioni di popoli e nazioni, è stato mezzo di ribellione e cambiamento politico e sociale, ha condizionato la cultura popolare e segnato la strada del futuro. Ci sono sport così strettamente legati alla storia di un Paese, da scriverla. È il caso dello sci di fondo con la Svezia e in particolare delle granfondo, le competizioni superiori a 42 km. La tradizione, infatti, vuole che la prima granfondo della storia sia avvenuta nel 1520, da parte di Gustavo Vasa I (futuro re di Svezia), che percorse con gli sci il tratto tra le città di Mora e Sälen per sfuggire al tentativo di uccisione del reggente Cristiano “Il Tiranno”.
Su quel percorso di 90 km dal 1922 si corre la Vasaloppet che ha visto brillare i colori italiani anche grazie a Lara Peyrot, capace di raggiungere il podio della regina delle granfondo, trionfando nel 2003 nella classifica generale del circuito con vittorie, tra le diverse tappe, nella Marcialonga e nella Keskinada Loppet in Canada. 23 podi nella Marathon Cup con 10 vittorie, un bronzo ai Mondiali juniores e un terzo posto a squadre in Coppa del Mondo, i traguardi sportivi, i valori e gli insegnamenti dello sci di fondo restano vivi anche dopo il post-carriera di Lara, unendosi alla cultura imprenditoriale di famiglia, verso nuove sfide.
È insieme a lei che apriamo il nostro ciclo di interviste D&E Talks, con gli atleti protagonisti del nostro Programma Digital & Entrepreneruship in Sports in collaborazione con Training Program by SKS365.
Quali sono i valori che lo sci di fondo ti ha trasmesso?
I valori che mi ha dato lo sci di fondo sono tanti. Se dovessi elencare i principali partirei dalla disciplina, senza la disciplina nello sport non si arriva a nessun traguardo. È fondamentale inoltre avere costanza, determinazione, preparazione, che devono unirsi alla passione. La passione è quel carburante che muove la disciplina. Il sacrificio poi, bisogna fare delle rinunce, che sono un compromesso con i nostri sogni. Ho imparato ad apprezzare anche il dover perseguire una ricompensa posticipata, allenarsi dalla primavera per raccogliere i frutti nei mesi invernali, allenarsi anche quando le cose non vanno per il verso giusto. Una delle cose che ho sempre apprezzato dello sci di fondo è la meritocrazia assieme all’onestà e alla correttezza: c’è un cronometro e chi segna il tempo più basso vince, non ci sono scorciatoie o compromessi e giudizi soggettivi.
“La passione è quel
carburante che muove la disciplina”
Quali sono gli insegnamenti fondamentali che ti sei portata nella tua esperienza successiva nel mondo del lavoro?
Sicuramente il fatto di non fermarmi mai ai primi ostacoli e di credere in quello che faccio. Dico sempre che siamo abituati, come adulti, a tollerare i sogni di chi fa sport, ma non quelli di chi non fa sport, sembra che non ne abbiano il diritto. Io penso sia importante avere un sogno, avere la passione per perseguirlo. Le cose che mi sono state più utili nel post-carriera sono state sicuramente la necessità di programmazione ed organizzazione, la capacità di contare su me stessa, senza aspettare che sia qualcun altro a risolvere eventuali problemi. Lo sport mi ha restituito una capacità importante di problem solving, mi ha fatto capire che sono l’imprenditrice di me stessa. Quando avevo un problema dovevo trovare io le forze per risolverlo, senza fare affidamento solo sulla squadra nazionale o sul Gruppo Sportivo. Per recuperare da una gara all’altra, dovevo essere io a gestire la routine ideale. Questo vale per la vita di tutti i giorni e, soprattutto, per il fare impresa. Ho imparato a conoscermi e a prendere delle decisioni valutando ciò che è più adatto per me, a volte prendendo delle decisioni “coraggiose”. Ho imparato molto soprattutto dai momenti più difficili e bui come i periodi post infortunio, ho appreso molto dalle sconfitte, mi hanno insegnato a rialzarmi, a rimboccarmi le maniche e a lavorare il doppio.
“Lo sport mi ha restituito
una capacità importante
di problem solving,
mi ha fatto capire che sono
l’imprenditrice di me stessa”
Hai ottenuto importantissimi successi nelle “Granfondo”, competizioni dove la concentrazione, la necessità di ridurre gli errori, la gestione delle energie sono aspetti importanti. Affrontare con successo queste sfide ti ha dato una marcia in più anche nella fase successiva al professionismo?
Sono stata sempre un’atleta molto resistente, mal digerivo le sprint, anche dal punto di vista psicologico, per cui sono stata sempre più portata per le distanze lunghe. Ti ritrovi a dover rimanere concentrata per tantissimo tempo, devi fare i conti con te stesso, con il muro della crisi che prima o poi arriva in ogni gara e devi trovare le energie per valicarlo. Durante una Keskinada Loppet in Canada, una delle tappe più prestigiose del circuito internazionale granfondo, gareggiavamo a -29 gradi, delle condizioni improponibili. Una volta si partiva tutti insieme, uomini e donne e io mi ero agganciata a un treno di atleti che andavano al mio ritmo. Avevo oltre 3 minuti sulla seconda concorrente, ma a un certo punto mi sono trovata da sola. Il vantaggio a poco a poco è svanito e negli ultimi kilometri mi ritrovo appaiata con la seconda, testa a testa per la vittoria. Come detto, non sono mai stata un’atleta veloce negli sprint finali, ma ho avuto una reazione talmente forte di rabbia, di voglia di non mollare, che sono riuscita a vincere. È stata una soddisfazione incredibile perché a livello psicologico sarebbe stato molto più facile mollare: lo sport insegna anche questo, è fondamentale per i passaggi successivi della vita professionale.
“Ti ritrovi a dover rimanere concentrata per tantissimo tempo,
devi fare i conti con te stesso,
con il muro della crisi che prima o poi arriva in ogni gara
e devi trovare le energie per valicarlo”
Secondo la tua esperienza pensi ci sia un divario di genere nel professionismo oppure lo sport riesce a colmare differenze che ancora oggi vediamo troppo spesso esistere nel mondo del lavoro o dell’impresa?
A livello personale sono stata molto fortunata, nel senso che non ho mai subito situazioni di disparità. Prima la situazione era diversa, nel senso che la nazionale femminile si è dovuta conquistare nel tempo parità di rispetto e di trattamento. Per quanto riguarda la remunerazione e i premi gara, sono quasi sempre stati della stessa misura tra uomini e donne, così come il peso dei contratti e delle tabelle premi degli sponsor. Sono stata una delle prime donne ad entrare nel Gruppo Sportivo delle Fiamme Ore per gli sport invernali, assieme a Karen Putzer e Daniela Ceccarelli. Ovviamente l’ambiente era molto maschile ma mi sono inserita al meglio, senza chiedere alcuna facilitazione, né durante la mia carriera sportiva, né nella successiva esperienza lavorativa. Uno degli aspetti che ancora oggi è penalizzante per una donna sportiva è sicuramente legato alla maternità. Non ci sono, ad esempio, programmi per il rientro agonistico post-maternità, servizi o aiuti, è tutto rimandato alle capacità del singolo.
“Uno degli aspetti che ancora oggi è penalizzante per una donna sportiva è sicuramente legato alla maternità.
Non ci sono, ad esempio, programmi per il rientro agonistico post-maternità,
servizi o aiuti,
è tutto rimandato alle capacità del singolo”
Puoi raccontarci come un atleta di livello internazionale come te
ha gestito il passaggio dal professionismo alla fase di vita successiva?
Sono stata molto fortunata perché ho avuto la possibilità di restare, a fine carriera, all’interno del Gruppo Sportivo delle Fiamme Oro con un ruolo amministrativo, ma rimanendo nel contesto sportivo, gestendo i rapporti con gli atleti, le federazioni, gli sponsor. Non è stato facile comunque uscire dalla mia routine quotidiana di allenamento. La cosa che mi è pesata di più, sembrerà buffo, è stato il venir meno del silenzio. Ero abituata a due allenamenti giornalieri in media, nelle piste, a contatto con la natura, dove anche quando sei in gruppo non si parla molto. Andare in ufficio, parlare continuamente di persona o per telefono, è stato pesantissimo, avrei preferito fare 30 chilometri al giorno con gli sci – scherza –.
Secondo la tua esperienza gli atleti hanno a disposizione gli strumenti,
il supporto e la formazione necessaria per questo passaggio così importante?
Spesso, per gli atleti professionisti di quelli che sono considerati gli sport minori, l’unica possibilità che si apre è quella del pubblico impiego nel Gruppo Sportivo o nella relativa Pubblica Amministrazione. Io sono stata fortunata, ripeto, a rimanere nel mio ambito, ma tanti miei colleghi magari si sono ritrovati in servizio di pattuglia in grandi città. Un atleta può avere altre competenze, altre aspirazioni, altri talenti che potrebbe mettere a frutto in contesti differenti, ma non ha nessun orientamento in tale direzione.
Perché hai scelto di partecipare a Digital & Entrepreneurship in Sports?
Quali sono gli ambiti del Programma che ti hanno più colpito e che ritieni utili per uno sportivo?
Innanzitutto, ho scelto di partecipare al Programma perché mi è sembrata una bella opportunità, ho imparato a valutare le opportunità che la vita mi offre, sono una persona curiosa e con una gran voglia di imparare cose nuove, di migliorarmi, di collaborare con menti innovatrici e brillanti. Il Programma mi piace molto perché ha una parte teorica e una pratica, con dei lavori di gruppo molto utili. Io penso che al giorno d’oggi, nonostante il periodo che stiamo vivendo, stiano nascendo tantissime opportunità e stiano nascendo nel digitale, per cui da un lato abbiamo la responsabilità e il dovere di essere in grado di sfruttare questo potenziale. Penso che questo percorso mi sarà molto utile per il perfezionamento del mio personal branding ma anche per darmi degli strumenti per capire come implementare le attività che sto già sviluppando: avere un metodo è molto importante.
“Io penso che al giorno d’oggi,
nonostante il periodo che stiamo vivendo,
stiano nascendo tantissime opportunità
e stiano nascendo nel digitale”
Mi ha colpito il progetto che vorresti sviluppare in futuro, per supportare quegli atleti che non vogliono o non riescono ad entrare nei Gruppi Sportivi militari per poter avviare la loro carriera da professionista.
Puoi raccontarci qualcosa a riguardo?
Ci sto pensando da un po’ di anni, è una sorta di chiodo fisso. Le motivazioni sono varie. Io sono stata tra i privilegiati che sono riusciti a fare sport grazie a un Gruppo Sportivo, tra l’altro un po’ casualmente. Mia zia mi segnalò un concorso con a bando moltissimi posti per la Polizia di Stato a Roma, non specifico per atleti. Io l’ho superato ed essendo in squadra nazionale, sono stata poi direzionata nel Gruppo Sportivo. Ma tanti miei colleghi non sono riusciti ad intraprendere questo percorso e hanno dovuto scegliere se smettere con lo sport o allenarsi lavorando, in maniera eroica, con grande spreco di talento. Inoltre, i posti a concorso per un Gruppo Sportivo, sono sempre meno ogni anno. Successivamente alla mia esperienza sportiva ho lavorato 8 anni in ufficio e la mia professione era estremamente burocratica. Venendo da una famiglia di imprenditori ed essendo abituata a fare impresa su me stessa, le dinamiche erano un po’ strette e mi sono congedata. Penso a tutti quegli atleti che smettono e sono veramente disorientati e a volte scelgono l’unica opportunità che gli si presenta anche perché non hanno accesso ad informazioni diverse, adattandosi magari a mansioni che non sono nelle loro corde, senza assolutamente svalutare l’importanza della p.a. Vorrei sviluppare un progetto che consenta loro di preservare e valorizzare il loro talento, non solo sportivo.
“Penso a tutti quegli atleti che smettono
e sono veramente disorientati…
Vorrei sviluppare un progetto
che consenta loro di preservare e valorizzare
il loro talento, non solo sportivo”
Pensi che il digitale possa aiutare anche gli sportivi a scegliere un percorso post-carriera più adatto alle loro esigenze?
Io sono fiduciosa e ottimista in questo senso, per due motivi. Il primo è perché il digitale offre nuove opportunità senza tanti “contro” del lavoro tradizionale, dalla presenza fisica, al rispetto di orari fissi. Il secondo, penso che gli atleti possano sfruttare al massimo il personal branding con i nuovi strumenti digitali e con la formazione, potendo curare questo aspetto fondamentale senza rivolgersi a un’agenzia e senza stravolgere la propria vita, lavorando nel loro tempo libero, in qualsiasi parte del mondo e con chi decidono loro. Ovviamente devono avere a disposizione informazioni, formazione, supporto e strumenti.
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