This Unique è un community brand, con decine di migliaia di followers sui social, con un forte set valoriale alla base, in grado di attirare persone unite dalla stessa mission di sradicare i tabù legati alla medicina femminile, presentando al mercato una nuova tipologia di assorbente organico compostabile.
Accelerata da LVenture Group nel 2021, This Unique procede nella sua rivoluzione, condivisa oggi da player come Hello Fresh, Jakala, Poke House, Findus Italia, Talent Garden. Un cambiamento culturale che hanno sposato anche Università come Luiss e Istituzioni come il Comune di Andria. Ma come nasce una community, come si alimenta? Come si riesce a focalizzarsi sul business in maniera sempre “community oriented”? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Mansi e Lisa Iannello, CEO e CPO di This Unique in questo secondo appuntamento con #howtostartUP
Come si costruisce un brand su una tematica considerata tabù?
Lisa Iannello: Il principio alla base è stato prioritizzare l’accessibilità del linguaggio. Iniziare affontando la complessità del tabù, semplificando e facilitandone la comunicazione e la comprensione. In questo modo si possono divulgare i temi alla sua radice.
Vincenzo Mansi: È fondamentale partire dai contenuti con un processo di educazione e divulgazione. Il tabù si forma nel momento in cui una cosa non si conosce e, automaticamente, inizia ad essere stigmatizzata dalle persone che, a costo di non parlarne, la rendono per questo proprio un tabù. Quindi, noi ripercorriamo quei passaggi e diventiamo un megafono per persone esperte che hanno dedicato il proprio lavoro all’approfondimento di determinati temi. In questo senso “This Unique” è un megafono per smantellare ed eliminare i tabù.
Vi sentite più un brand community o un community brand?
Vincenzo: Ci sentiamo un community brand, il focus è assolutamente la community. This Unique nasce come spazio aperto di discussione e condivisione, solo successivamente diventa un brand. Nel nostro primo anno di vita non ci siamo minimamente preoccupati dell’identità visiva, è stata un passaggio successivo.
Lisa: Siamo assolutamente un community brand e stiamo cercando di non tradire mai questo orientamento. Faccio un esempio. Quando abbiamo affrontato il percorso di rebranding in maniera strutturata, la community è stata parte integrante del processo. Abbiamo creato un comitato creativo dove le persone hanno potuto esprimere chiaramente ciò che più le rappresentava.
Quando il brand si è consolidato, non avete pensato di correre il rischio di snaturarvi?
Vincenzo: Rispondo in maniera marzulliana (ride). Si riesce ad essere un community brand non essendo una brand community. Per mantenere il community brand, quello che facciamo è evitare di insistere per forza sul prodotto. Abbiamo realizzato che, nella nostra community, ci sono molte persone che non sono nostri acquirenti e viceversa, molti nostri acquirenti non fanno parte della community. Il dualismo va mantenuto per non snaturarsi. Quindi, quello che facciamo è alimentare la community che si è legata a noi per i valori che rappresentiamo. Sono le persone a scegliere, non bisogna forzarle, perché altrimenti saremmo uno dei tanti brand ammantati di green e pink washing.
Qual è stata la prima interazione con gli early adopters? Come avete gestito questa fase?
Vincenzo: Le prime persone che hanno acquistato su This Unique si sono avvicinate per il valore del prodotto e della comunicazione. Per noi è stato importante raccogliere i loro feedback, che hanno rappresentato una fonte essenziale di informazioni. Le persone che hanno iniziato a comprare da noi sono state decisive, ad esempio, per comprendere che l’intuizione del modello in subscription era sensata. Sicuramente ha funzionato l’interazione costante e il desiderio di non saturare la predisposizione di ascoltare la community.
Gli assorbenti sono delle commodities, come siete riusciti a far capire che ci fosse un modello diverso di acquisto?
Lisa: Con un focus deciso sulla personalizzazione e sulla capacità di adattamento alle nuove necessità di un target, che, proprio grazie alla community, ha iniziato ad avere l’esigenza di vivere questa esperienza in modo diverso e non più come un fastidio. Combinando questi fattori siamo riusciti ad arrivare alla soluzione della subscription.
Qual è stato il canale che avete utilizzato di più per interagire?
Lisa: Considerato il nostro target abbiamo cominciato da Instagram che tuttora rimane il canale primario, soprattutto per un fattore visivo e per l’età dell’audience. Instagram ci ha permesso di creare una community senza il prodotto e di parlare della sfera valoriale, per cui, fin dall’inizio, le persone potevano cominciare a capire di cosa trattavamo, ad essere ingaggiate. In questo modo abbiamo trovato i nostri primi early adopters.
Come si ingaggia, si allarga e si gestisce la community?
Lisa: Per allargare, ingaggiare e trattenere la community si è rivelato vincente il modo di comunicare argomenti che non sono comunemente trattati, ma che, allo stesso tempo si riferiscono a una quotidianità comune a tutti. Ad esempio, per argomenti del tutto naturali, fisiologici, ma di cui le persone si vergognano, abbiamo utilizzato l’ironia dei “meme” per farvorire il dibattito. I contenuti sono diventati virali e, ridicolizzando un tabù, abbiamo rotto lo stigma. Questo ci ha permesso di aggregare sempre più persone all’interno di uno spazio “sicuro” di discussione: la community.
L’utilizzo di contenuti e mezzi di comunicazione è stato scelto strategicamente?
Vincenzo: Noi siamo partiti da un blog. Sicuramente la base valoriale dei contenuti ha ricoperto un ruolo strategico per veicolare il nostro messaggio, ma è anche la parte più autentica e importante. This Unique vuole veicolare messaggi e cambiare il paradigma di prodotto. Queste nostre priorità guidano la nostra strategia che è diversa da ogni altro competitor. Noi nasciamo con dei valori, che prendono forma con una comunicazione e con un prodotto diverso, che ha un impatto positivo sul corpo delle persone e sulla sostenibilità.
Quanto incide la base valoriale, la proposta di valore solida e l’impegno sociale sulla riconoscibilità del brand?
Vincenzo: L’impegno sociale del brand è l’impegno sociale delle persone che sono all’interno del brand. Quando diciamo che questo brand è nostro figlio, lo diciamo perché ciò che noi facciamo lo abbiamo portato esattamente nel brand, è la copia dei quattro founder. Siamo tutti allineati sullo stesso sistema valoriale. Se così non fosse, il processo interno rallenterebbe, non ci capiremmo e, al contempo, si tratterebbe di green e pink washing.
Sicuramente è fondamentale la riconoscibilità del brand, se associata a questi valori. L’acquisition la fa il prodotto, con la sua sostenibilità ambientale, le sue caratteristiche e qualità. La riconoscibilità nel brand dei valori che esprimiamo è un meccanismo formidabile di retention.
Come trasformare il coinvolgimento con l’empowerment?
Lisa: Noi vendiamo assorbenti. Ma lo facciamo mediante una piattaforma che coinvolge tante figure mediche, influencers, creator che hanno contenuti da condividere con la community. Danno degli strumenti e dei mezzi alla community e ne facilitano l’empowerment della stessa. La community, in questo modo, riesce anche ad instaurare un dialogo con il mondo accademico. Il nostro obiettivo è quello che le persone siano più consapevoli del loro corpo ed abbiano strumenti per capire a chi rivolgersi per eventuali problemi che possono sorgere. Difatti, quando ci siamo rivolti al mercato degli assorbenti, ci siamo accorti che il problema maggiore è la sottorappresentazione del genere femminile, quando si parla di medicina femminile. La questione della sottorappresentazione femminile ha portato ad un circolo vizioso, in cui le persone non sono nemmeno a conoscenza di avere delle malattie, perché non sanno riconoscere i sintomi. Non divulgando le sintomatologie, non ci sono poi delle diagnosi che rispondono ad esse. Si crea un circolo vizioso in cui le persone soffrono, però in silenzio, divenendo invisibili. Per noi empowerment è cambiare il paradigma di come funziona il corpo femminile, avendo gli strumenti per capirlo, non rimanendo in silenzio, ma agendo per curarlo.
Perché la scelta del magazine e qual è il valore aggiunto?
Vincenzo: Il magazine è da dove siamo partiti. Prima ancora di avere le nostre trial box, noi avevamo Periodica Magazine. In primo luogo ci siamo molto affezionati, in secondo luogo ci vuole tantissimo lavoro, tantissima programmazione e tantissima collaborazione. Di questo se ne occupa principalmente Alice che sviluppa la rete di contributor, li organizza in termini di tempistiche, tipologia di articolo lasciando loro libertà assoluta di espressione, in quanto gli articoli non subiscono una revisione interna. Diamo modo ai contributor di entrare in sinergia e noi di This Unique agiamo come megafono.
Lisa: Esattamente, questo processo di Periodica Magazine è un lavoro che agisce parallelamente, influenza ed è necessario per il lavoro di This Unique. Se abbiamo delle strategie commerciali, specialmente per il target B2B, cerchiamo di integrarle. Quindi Periodica si presta a sostenere la strategia di This Unique agendo come suo manifesto valoriale.
Lanciare la startup arrivando al prodotto senza avere un tech co-founder interno è stato qualcosa che vi ha rallentato ?
Vincenzo: Per quello che noi facciamo, direi 50 e 50. Sarei ipocrita a dire che si può fare sempre tutto “da soli”. Ci sono alcuni passaggi in cui ci siamo dovuti appoggiare a qualcun altro per farci seguire, mentre avere una figura tech interna non è detto sia garanzia di continuità o che la persona possa essere allineata all’intero sistema di valori. Dall’altra parte, devo dire che non è stato un ostacolo troppo grande. Sicuramente è molto relativo ai processi, ai modelli, ai prodotti che si sviluppano. In alcuni momenti sentiamo che l’assenza di una figura tech interna ci possa rallentare la scalabilità, in altri momenti non percepiamo proprio questa assenza.
Quanto è importante per voi la composizione eterogenea del team?
Lisa: Questo è la base di This Unique, il motivo per cui esiste. Perché la problematica degli assorbenti, del prodotto, se scaviamo in profondità, è riconducibile alla radice di uno schema patriarcale. Il nostro lavoro è di far emergere il problema e di fornire una soluzione. Il tema di per sé non è stato esplorato, proprio a causa del tabù, perché non se ne voleva parlare, proprio per una disparità di genere. Quindi parlare di inclusione e di rappresentazione è tornare alla radice del problema. Ho menzionato il termine “rappresentazione” proprio perchè non essendoci stata rappresentazione nei ruoli più alti, in questo caso di dottoresse, di persone che hanno le mestruazioni, nello sviluppo dei prodotti per le mestruazioni, sono stati creati senza una piena consapevolezza e cognizione dei bisogni. Questo è il paradigma che noi stiamo cambiando.